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Quella volta ero stato proprio stronzo! Dovevo riconoscerlo!
Naturalmente pensai che mi aspettava una qualche vendetta. Al diavolo, se mi guardavo allo specchio mi vergognano per quello che avevo fatto. Mi meritavo una bella ripassata. Avrebbe dovuto darmele di santa ragione, e pure così avrebbe avuto diritto di sentirsi ancora incazzato. C’era andata di mezzo persino Luana, la sua ragazza. Così, rassegnato a dover subire la sua ira, mi misi ad aspettarlo, sinceramente un po’ inquieto. Ma il senso di colpa era piuttosto forte, per cui da una parte vedevo il suo imminente sfogo come una liberazione. Forse dopo mi sarei sentito meglio. D’altronde che poteva farmi? Picchiarmi? Non era un violento, per cui, sicuro che i miei annessi e connessi erano in salvo, mi feci una doccia, per poi vestirmi e dispormi all'attesa. Qui non vi dirò di che razza di scherzo si era
trattato.
Luana era sempre stata il mio amore segreto. E’ cretino
parlare di amore segreto all’età di ventitré anni, lo so,
ma non avevo mai avuto il coraggio di dichiararmi. In sua presenza la snobbavo
un po’, ma quando non guardava io la occhieggiavo a lungo, e pensavo spesso
a come sarebbe stato bello stare con lei, andare a letto insieme.
Hector, all’inizio stupidotto e impacciato, nel giro
di qualche mese aveva subito una autentica metamorfosi, diventando il ragazzone
sicuro di se era adesso. Era diventato un Fighetto, vale a dire una categoria
che cordialmente disprezzo. Non era più imbarazzato dalla sua mole,
anzi la esibiva. Ora camminava a testa alta, mentre quando l’avevo conosciuto
teneva le spalle un po’ ingobbite. Sorrideva volentieri, e aveva sostituito
le sue felpe deformi e i suoi jeans incredibilmente troppo larghi per uno
della sua statura, con un nuovo look al quale teneva molto, e che aggiornava
con attenzione. Era disinvolto e audace, e in poco tempo si era assicurato
l’affetto di Luana.
Quando udì bussare alla porta andai ad aprire.
Era Luana, con Hector dietro di lei. Luana non disse nulla, bella come
sempre (anche lei più alta di me, indossava stivali, minigonna,
calze nere, camicia nera di raso a maniche lunghe aperta su una dolcissima
scollatura rosea), mi assestò uno schiaffo sonoro.
- Hey! Ma che... - cominciai a dire. Fui interrotto.
Da una parte mi sentivo irritato per essere trattato
così male da lui davanti a Luana. Dall’altro lato mi sentivo un
po’ ilare, come se sotto sotto trovassi comica quella loro furia (che stronzo!).
- Ora te lo facciamo noi uno scherzo, lo sai?
La ragazza, bellissima amazzone, con rapide falcate
mi fu davanti, mentre Hector mi afferrava le braccia portandomele dietro
la schiena. Prima che avessi tempo di rendermi conto di quello che succedeva,
mi ritrovai seduto sulla mia sedia girevole con le ruote, con Luana che
mi fasciava i polsi di nastro adesivo da pacchi.
Le dita dolcissime di Luana mi infilarono in bocca qualcosa. Uno straccio, o un fazzoletto. Poi con rapidi e dolorosi giri di nastro mi fasciarono la testa, fino a sigillarmi le labbra, dalle narici al mento. Mi era impossibile muovere la mascella, con quella palla in bocca. Realizzai con ritardo che ero legato e imbavagliato! Era la prima volta in vita mia che mi trovavo legato e imbavagliato, e la sensazione non fu piacevole. Sopra a tutto c’era la vergogna che quello stava accadendomi sotto gli occhi della mia dolce Luana, la quale, peraltro, pareva divertirsi. Continuarono a legarmi anche le caviglie, e poichè
con un po’ di sforzo, avrei potuto alzarmi dalla sedia e saltellare via,
utilizzarono altro nastro adesivo per bloccarmici su, fasciandomi strettamente
le braccia e il petto, e bloccando il tutto allo schienale.
Non avevo idea di cosa avessero in mente, e cominciavo
ad avere paura. Non ero un esperto, ma sapevo che il nastro adesivo non
è come una corda. Una corda si può sciogliere, se è
una legatura è fatta male puoi anche arrivare a sfilare i polsi,
ma il nastro adesivo non ha nodi. E’ un unico blocco, e non si può
slegare. Si può solo tagliare. Per cui se avessero avuto intenzione
di lasciarmi lì e andarsene, speravo si rendessero conto che non
avrei in alcun modo potuto slegarmi da solo.
- Mmmm! Mmmnghh! Mmmmphf!– facevo io dimenandomi. Oggi mi rendo conto che con tutto quel dimenarmi, dal momento che ero tanto preoccupato della figura di merda che stavo facendo davanti a Luana, non facevo che peggiorare la mia situazione. Fra l’altro ad ogni strattone il nastro mi torturava i polsi. E meno male che avevo indossato una camicia a maniche lunghe... il tessuto attenuava la morsa del nastro sulla pelle, ma faceva comunque male. Mi dimenavo e mi dibattevo, e Luana ed Hector parevano divertirsi un modo a vedermi in quelle condizioni. Mi vergognavo, ma era nulla in confronto a quello che mi aspettava, e loro lo sapevano. Glielo leggevo in faccia. - Che dici Luana?
Non capivo molto di quella surreale conversazione, anche se Luana non aveva mai fatto gran segreto delle sue piccole manie. Per quel poco che capivo l’idea di legare qualcuno le piaceva, e un paio di volte, in cui era un po’ brilla, si era lasciata sfuggire qualcosa a proposito del fatto che non le sarebbe dispiaciuto farsi legare al letto dal suo amante. Personalmente l’idea di Luana legata al letto mi eccitava, ma immagino che l’idea di legare la propria amante entusiasmi molti. Non avevo però mai indagato a fondo su queste miei oscure pulsioni, figurarsi quelle di Luana! * * * Vidi Hector prendere il mio blocchetto dei post-it
e scrivere qualcosa. Poi staccò il foglio e lo passò a Luana,
la quale me lo applicò sulla fronte, ridendo. Quello era troppo.
Avevo sempre trovato intollerabile lo scherzo del bigliettino attaccato
addosso a qualcuno. Persino io, nella mia cattiveria, me l’ero sempre risparmiato,
quello scherzo là. E che cosa avevano scritto?
Hector aprì la porta della mia stanza, e Luana
prese a spingere la mia sedia. Solo allora mi resi conto, e ripresi a divincolarmi,
stavolta con un vigore molto maggiore. Mi irrigidivo, mi allungavo sulla
sedia, ululando, mugolando come un dannato. Mi stavano portando fuori dalla
mia stanza! Chissà chi c’era in corridoio. Oh, era già abbastanza
umiliante farmi vedere così da loro due. “Vi prego!” invocai
nella mia mente.
Chiamarono l’ascensore, che per fortuna era vuoto,
e mi ci spinsero dentro. Rigirarono la sedia, in modo che potessi guardare
verso la porta.
- Arrivederci, burlone! – Mi salutarono. Luana mi spedì
un bacio con la mano, e le porte si richiusero. L’ascensore cominciò
a salire.
Quando sentì delle voci, fuori dalla porta,
avevo lo stomaco pieno di ghiaccio. Ma mi rendevo conto che quale che fosse
la portata della mia vergogna (ormai simile alla paura, anche se non correvo
rischi, a parte la figura di merda), ero pur sempre soltanto legato su
una sedia. Umiliante, ma sopportabile, con un pò di buona volontà!
Per cui cercai di assumere una posa dignitosa. In realtà ero sudato
e spettinato, e respiravo concitatamente dal naso.
La ragazza scese al terzo, e l’ascensore proseguì fino al piano terra. I ragazzi uscirono, salutandomi, e augurandomi buona fortuna. Non mi sembrava vero che non mi avessero slegato. Ma d’altronde non avrebbero potuto, senza delle forbici o un coltello. L’ascensore rimase fermo per qualche minuto al piano terra, poi arrivò una coppietta. Lei non era granché, a dire il vero, ma stavolta fu il ragazzo a trasalire. - Che razza di scherzo di merda! – fece lui, mentre
l’ascensore saliva. Protese le mani per liberarmi, e la ragazza lo fermò.
– Non vedi che c’è scritto? Lascia stare.
- Mmmm! Mmmngh! – feci io, scuotendo il capo.
Scesero. Subito entrarono due ragazze, una mora, bellissima dallo sguardo penetrante, ed una bionda, meno bella ma ugualmente sensuale nel modo di muoversi. Anche loro le conoscevo di vista. - Ma che ti hanno fatto? – mi chiese la mora. Pareva che nessuno facesse caso al bavaglio. La bionda mi avrebbe slegato, ne ero sicuro. Mugolando
cercai, con lo sguardo, di farle capire che desideravo la libertà,
che non mi stavo divertendo. Probabilmente invece che uno sguardo supplichevole
mi venne fuori una faccia da cretino.
La sfortuna mi perseguitava, perchè era ancora
più umiliante farsi vedere in quelle condizioni da ragazze, specie
se belle, piuttosto che da ragazzi. Di loro me ne fregava poco, ma le donne...
come potevo presentarmi in quelle condizioni davanti a delle donne? Fra
l’altro erano tutte ragazze che conoscevo di vista (ero un grande estimatore
di figa), e presumibilmente loro conoscevano me.
Ed io mi accorsi che d’un tratto la mia scomoda posizione era diventa ancora più scomoda. Solo qualche secondo dopo mi accorsi di essere eccitato. Le sue calze... i suoi polpacci perfetti, scuri che ammiccavano da sopra la linea degli stivali. La gonna era nera, di stoffa elasticizzata e notai che non c’era la classica linea delle mutandine, a rilievo sulle rotondità ininterrotte delle sue meravigliose natiche. O non portava le mutande, ma mi sembrava assai improbabile, o aveva sù il perizoma. Il solo pensarlo dietro quella stoffa elasticizzata, infilato con grazia nello spacco del suo culo divino e color caffèlatte mi faceva girare la testa. Mi vennero pensieri strani, e cosa ancora più strana, li trovavo fottutamente eccitanti! Mi vedevo legato dentro una camera da letto, completamente
nudo. Imbavagliato con quella specie di bavaglio a palla che avevo visto
in “Pulp Fiction”, e lei, vestita così com’era ora, con la sua gonna
nera, i suoi stivali, ma con una camicia di seta con il colletto alzato,
annodata sotto il seno, le spalle dritte e armoniose, che mi sovrastava
brandendo una frusta.
Tutti questi pensieri mi volarono nella mente nel mezzo
minuto che impiegò l’ascensore per arrivare al piano terra. Quando
la ragazza scese, senza voltarsi e facendo risuonare i tacchi, provai un
grandissimo vuoto. Ma quei pensieri, quelle immagini, persistettero nella
mia mente, come rimane impressa nella retina il balenare verde di un flash
sparato negli occhi. Ad un tratto non facevo più resistenza. Ero
abbandonato sulla sedia, i polsi incrociati dietro lo schienale abbandonati
e appesi nella morsa del nastro adesivo. Non strattonavo. Volevo solo rivedere
quella bellissima donna.
Mi ridestai da quella fantasia come se mi riprendessi da un sogno, un po’ sudato. Che cosa cazzo ero andato a pensare. Ero legato in un ascensore ormai da quasi un’ora, solo, e andavo a fantasticare su simili stupidaggini? Inculalo? La sola idea mi faceva inorridire. Che umiliazione tremenda sarebbe stato essere sodomizzato davanti agli occhi divertiti di quelle due dee. Già era una situazione improponibile di per sè, figuriamoci al cospetto di due donne! Cercai di scacciare quel pensiero come si scaccia via un moscone insidioso. Ora c’era un nuovo sentimento che faceva da contrappunto a quel minestrone che provavo. A quel misto di umiliazione, sconcerto, rabbia, frustrazione, eccitazione (che ormai andava affievolendosi, a dire la verità, ora che la moretta era andata via), si aggiunse la paura. Come potevo trovare eccitanti quelle cose? Le porte dell’ascensore si richiusero, ed io trasalì, strappato dalle mie elucubrazioni. Evidentemente qualcuno stava chiamando l’ascensore dai piani alti. Pregai che non si trattasse si un’altra ragazza, perchè ora provavo anche l’assurda sensazione che quei pensieri, quelle fantasie, fossero in qualche modo leggibili sul mio volto, come il menù di un ristorante. Invece l’ascensore si fermò al secondo piano,
e le porte si aprirono sulla imponente figura di Hector.
Senza dire una parola mi condusse in camera mia, ma non accennò a slegarmi. Io mugolai, implorandolo con gli occhi. Luana era seduta a gambe accavallate sul mio letto. E teneva qualcosa in mano. Con orrore indicibile mi resi conto che era una delle lettere che avevo scritto a lei, nel mio romantico, platonico infatuamento, e che non le avevo mai fatto leggere. - Senti questa! – fece Luana, ed iniziò a leggere ad alta voce. "Cara Luana, mi scuserai se mi rivolgo a te chiamandoti cara, ma non hai idea di quanto l’uso di questa parola mi riempia di gioia. Forse è arrivato il momento che io ti dica cosa provo per te. Se sconvolta? Spero di no. Non ho mai fatto mistero della mia attrazione nei tuoi confronti, anche se forse il mio carattere un po’ stronzo può avere travisato il senso di certi miei gesti. La verità è che io provo per te un sentimento molto intenso. Ma non temere... non oserei definirlo amore. Perchè non dire le cose come stanno" - Qui c’è una parte cancellata!– si interruppe Luana. Ora ricordavo quale lettera fosse (era difficile distinguere perchè gliene avevo scritte una decina e cominciavano tutte nello stesso modo), e la mia disperazione aumentò. Avrei dovuto strappargliela dalle mani. Mi maledissi per avere conservato quelle lettere. Perchè non le avevo distrutte, perchè? - Ecco, qui riprende: " Non posso nasconderti la natura crudamente carnale della mia infatuazione. Io ti desidero con ogni fibra del mio essere, e senza mezzi termini. Ma penso che se questa mia attrazione dovesse trovare in te riscontro, la magia svanirebbe. Voglio vederti così, controluce, stupenda e irraggiungibile. Come un idolo. Nondimeno saprei renderti felice". Da questo punto in poi mi ero lanciato in una confessione a dir poco pornografica, tanto sapevo che non l’avrebbe mai letta. Come preso da un raptus di grafomania e di ispirazione mi ero lanciato in uno sfogo simile ad una eiaculazione. "Ti leccherei le gambe, lentamente. Oh, non sai quanto lento saprei essere, risalendo le curve dolcissime della tua fisionomia, palmo a palmo. Gusterei ogni goccia del tuo essere succhiandotela direttamente dalla pelle, in una sua levigata perfezione. E tu sarai lì, distesa e bellissima. Illuminata da un fuoco poco lontano, respirando talmente piano da sembrare una creatura che non ha bisogno di respirare. Un attimo prima di raggiungere il tuo sesso, cambierei obiettivo, aggredendo in dolci morsi di labbra" - Mammamia! – fece Luana.
Ma la cosa più assurda era un’altra. Non era stato lo schiaffo di Hector, non era il fatto che Luana stesse deridendo cose che non avrei fatto leggere nemmeno al più intimo dei miei amici. La cosa più assurda era che avevo il cazzo duro. Ebbene sì, mi vergognavo di me stesso, ma dentro i jeans stretti che indossavo, costretto fra la gambe tenute attaccate da quel nastro adesivo, dopo essere stato legato, umiliato, schiaffeggiato, deriso, avevo il cazzo duro. Ogni tanto, siccome non se ne parlava di guardarli
in faccia, l’occhio mi cadeva sulle scarpe nere di Luana. Ebbene, sono
sicuro che in quel momento (ma posso affermarlo solo ora, a distanza di
tempo), se mi avessero chiesto in che modo avrebbe dovuto proseguire la
mia umiliazione, avrei scelto che mi si lasciasse legato, se era questo
che volevano, ma che mi si desse la possibilità di poter succhiare
il tacco alto della sua scarpa. Oh, Luana! Quella stronza stava violentando
il mio intimo in un modo animalesco, bestiale. Eppure non mi era mai sembrata
così bella.
Io non riuscivo a guardare nessuno dei due. Me ne stavo
a testa bassa, inchiodato sulla sedia, ormai rassegnato a subire qualunque
cosa. Cosa avrebbe potuto esserci di peggio?
Vidi Hector alzarsi di scatto dalla sedia sulla quale nel frattempo si doveva essere seduto (ma non ricordavo quando), e raggiungere la porta della mia stanza. Lo vide chiudere a chiave, poi accendere la luce, e dopo avere attraversato tutta la camera in tre falcate, chiudere gli scuri delle finestre. - Stai per avere una lezione, testa di cazzo!
Ci tengo a spiegare una cosa, prima. Con il senno di poi, e alla luce di quel poco che vollero spiegarmi tempo dopo, capì che tutta quella era stata una messa in scena organizzata. C’erano stati degli imprevisti (come probabilmente la lettera, di cui non potevano sapere), ma per il resto tutto rientrava in una sorta di piano. Quello che fecero l’avevano già pensato, e se in quel momento lo avessi saputo forse sarebbe stato meno shockante. - Ti piace, Luana! – mi chiese Hector, sedendole accanto. – Ti piace? Le sue gambe ti piacciono, vero? Appoggiò una mano sulle sue cosce stupende,
muscolose, fasciate di nylon nero. Lo vidi far scorrere le dita sulle sue
cosce, fin dentro la minigonna. E Luana non guardava me, non guardava Hector.
Non diceva una parola.
Ed ora si stavano baciando. Si baciavano con una foga
che non conoscevo, passandosi le lingue sulle labbra e affondandosele in
gola l’un l’altro, ognuno avido dell’altro. Le loro mani servivano a tenere
ferma la testa dell’altro, mentre si schiacciavano l’uno il viso sul viso
dell’altra. Luana ansimava, rossa in volto, e pareva già in preda
ad un orgasmo. Ora Hector non aveva più nulla nei suoi gesti della
rudezza di poco prima. Adesso c’era una dolcezza accesa da una passione
della quale non ero mai stato spettatore diretto (sicuramente non in quelle
condizioni).
In qualche modo Luana ora era priva della minigonna.
Hector si stava togliendo la camicia, e fui colto dal terrore. Dio, volevano
scopare lì davanti a me? No, questo no. Questo no!
Vide Hector sfoderare un cazzo non molto lungo, ma
decisamente grosso, con un glande rosso simile ad una pesca. Vidi con orrore
le labbra piene di rossetto di Luana che vi si chiudevano attorno, avide.
Vedevo i suoi movimenti, in un su e giù da film porno.
Quando Hector estrasse il cazzo dalla bocca di Luana,
lei aveva il rossetto un po’ in disordine (il che le conferiva una espressione
indicibilmente eccitante!), e tracce di rossetto erano rimaste anche alla
base del cazzo di Hector.
Dopo qualche secondo Luana parve ricordarsi della battuta successiva:- No. No, ti prego.– e vidi Hector puntare la cappella sul buchino di Luana e cominciare ad affondare. Luana cominciò a lamentarsi, ed Hector le mise la mano sulla bocca. Ora era Luana a mugolare, come avevo mugolato io qualche minuto prima. Mugolava forte, rossa in volto, con una vena che le pulsava sulla tempia. Poi Hector cominciò a penetrarla senza pietà, affondando quel cazzo tozzo dentro quel culo meraviglioso. La sodomia non era mai stata una delle mie cose preferite. Credo che la figa sia, in tutta franchezza, insostituibile. Ma aldilà delle reazioni di Luana, delle sue lamentele, del suo dimenarsi sotto il corpo gigantesco di Hector, dei suoi mugolii simili ad urla imbavagliate da thriller, leggevo, nella cedevolezza del suo ano, una lunga pratica. Ed Hector fu dentro completamente, iniziando a muoversi
di nuovo con dolcezza. E il dolore di Luana parve sciogliersi, perchè
Hector le tolse la mano dalla bocca e lei non si lamentava più.
Aveva una piccola ruga sottile, bellissima, verticale fra le due sopracciglia.
I denti stretti. Eppure la sentì dire:- Rime...ah... rimettimi la
ma-hano sulla bocca! Rimettimi la mano sulla bocca! Mi piace... Altrimenti
urlo!
A queste parole i movimenti di Luana di fecero ancora più lascivi. Muoveva il culo con grazia sensuale, e aveva ricominciato a mugolare. Poi, mentre Hector si irrigidiva ed iniziava a grugnire come un toro, tornarono le urla imbavagliate da thriller e il volto di Luana divenne quasi viola. Capì che Hector le stava scaricando in culo la sua roba, e che a lei piaceva. Quando Hector le uscì dal culo, il suo ano rimase ancora oscenamente aperto per qualche secondo, mentre alcune gocce di seme le scendevano giù per l’interno coscia. Rimasero a lungo abbracciati sul letto, a limonare come due fidanzatini, ignorando del tutto la mia presenza. Io stentavo a credere a quello che era accaduto. Perchè scopare lì davanti a me? Perchè, maledizione? Luana di alzò, e venne verso di me. Mi accorsi
che quasi la temevo, adesso. Avevo conosciuto una Luana di cui non sospettavo
neppure l’esistenza.
Ma lei non mi succhiò lo sperma. Lasciò che il mio seme bruciante schizzasse fuori, insozzandomi la faccia, la camicia, i pantaloni. Io venni mugolando, stringendo i pungi dietro lo schienale e irrigidendomi sulla sedia, sulla quale stavo ormai da ben più di tre ore. Mi lasciò con il pene che si ammosciava, mentre
i due, con calma, si lavavano usando i miei asciugamani e si rivestivano.
Fumarono qualcuna delle miei sigarette, poi Luana disse:- Andiamo? S’è
fatto tardi?
Ormai nemmeno ricordavo più che cazzo di scherzo fosse stato. Ero distrutto. Non ero più quello di prima, ero cambiato in quelle tre ore di prigionia. Cambiato per sempre. Tagliarono lo scotch che mi univa i polsi, poi lasciandomi
in mano le forbici, uscirono dalla mia camera.
Mi lavai, mi cambiai. E quella notte non riuscì a chiudere occhio. Da quella volta sono trascorsi ormai quasi due mesi. Racconto con serenità queste cose, affidandole alla clemenza della Rete. Le racconto per assumermi le miei responsabilità, perchè da quel momento fui io a scegliere, in un certo senso. Una settimana dopo quell’evento, una settimana in cui
vissi in uno stato di perenne intontimento (e fra l’altro quando passavo,
la gente che mi aveva visto legato in ascensore ogni tanto mi indicava
e ridacchiava, ma con il tempo anche loro si stancarono), ricevetti una
telefonata.
- Salve. Come stai?
- Alla mia Luana, bè... sai? Non so come dirtelo.
Alla mia Luana è piaciuto un sacco quello che è successo
l’altro giorno. Dice che l’idea di te, legato come un salame che ci guardavi
scopare la eccita un sacco. E’ un tipetto, la mia Luana, non trovi?
Riagganciai, accorgendomi che per qualche motivo avevo
di nuovo il cazzo duro. E quel frullio che sentivo nella pancia assomigliava
a quello che si prova prima di partire per un viaggio atteso. Senza riuscire
a capire cosa mi stesse succedendo, mi sedetti sulla sedia, con la faccia
fra le mani. Non potevo fare altro che aspettare che arrivassero.
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